C’è una scena in *The Secret Life of Walter Mitty* (2013) in cui il protagonista, un fotografo di professione, si trova di fronte a un raro leopardo delle nevi. Invece di scattare la foto, decide di *guardare*. Di vivere il momento. Ecco, se fossimo tutti come Walter Mitty, questa guida non esisterebbe. Ma la realtà è che molti di noi, di fronte a un tramonto mozzafiato, a un piatto di sushi perfettamente impiattato o a un bambino che fa i suoi primi passi, tirano fuori lo smartphone e iniziano a scattare come se la loro vita dipendesse da quell’immagine.
Ma perché lo facciamo? E, soprattutto, come possiamo smettere di essere fotografi compulsivi e tornare a essere esseri umani che vivono le esperienze?
Il Paradosso della Memoria Digitale: Più Foto, Meno Ricordi
Uno studio pubblicato su *Psychological Science* (Henkel, 2014) ha dimostrato che più scattiamo foto, meno ricordiamo i dettagli dell’esperienza. Sì, avete letto bene: più documentiamo, meno viviamo. È come se il nostro cervello, sapendo di avere una copia di backup, decidesse di non fare lo sforzo di memorizzare. Un po’ come quando prendiamo appunti a lezione e poi non li rileggiamo mai.
Ma non è solo una questione di memoria. Il problema è che, mentre cerchiamo l’inquadratura perfetta, perdiamo l’attimo. Quel secondo in cui il sole tocca l’orizzonte, il sorriso spontaneo di un amico, il profumo del caffè appena fatto. Ecco, quello è il momento che ci sfugge.
Il Fotografo Compulsivo: Chi è e Come Riconoscerlo
Il fotografo compulsivo è quella persona che, durante un concerto, passa più tempo a guardare lo schermo del telefono che il palco. È quella che, durante una cena romantica, si preoccupa più della luce che del partner. È quella che, durante una vacanza, ha più foto che ricordi.
Se vi riconoscete in questa descrizione, non preoccupatevi. Non siete soli. E, soprattutto, non siete cattive persone. Siete solo vittime di quello che io chiamo *Il Complesso del Fotografo*: la convinzione che, se non documentiamo un momento, non sia mai davvero accaduto.
Perché Scattiamo Così Tante Foto? La Psicologia del Clic
Secondo la teoria dell’*autopresentazione* (Goffman, 1959), scattiamo foto per costruire e mantenere un’immagine di noi stessi. Vogliamo mostrare al mondo (e a noi stessi) che siamo persone interessanti, che viviamo esperienze straordinarie, che siamo felici.
Un’ altra spiegazione viene dalla psicologia del controllo. In un mondo in costante cambiamento, dove tutto scorre veloce e sfuggente, scattare una foto diventa un modo per esercitare un frammento di controllo sul tempo.[
È come se, attraverso l’obiettivo, potessimo catturare e conservare un istante preciso, sottraendolo al flusso inesorabile del divenire. La foto diventa un’ancora a cui aggrapparci quando tutto intorno a noi sembra mutare troppo in fretta, una prova tangibile che quel momento è esistito davvero e che noi eravamo lì per viverlo.
La Paura di Dimenticare: Quando la Memoria Diventa Fragile
Ma la compulsione a fotografare non nasce solo dal desiderio di controllo. C’è anche un’altra emozione potente che si annida dietro il clic: la paura di dimenticare. In un’epoca in cui siamo bombardati da un flusso incessante di informazioni e stimoli, la nostra memoria sembra diventare sempre più fragile e inaffidabile.
E allora ecco che la fotografia diventa una sorta di protesi mnemonica, un archivio esterno a cui affidare i nostri ricordi più preziosi. Scattare una foto è un po’ come prendere un appunto mentale, un promemoria visivo che ci rassicura sulla nostra capacità di conservare e richiamare le esperienze vissute, sebbene, come abbiamo visto, alcuni studi dimostrerebbero l’effetto opposto.
L’Ansia da Prestazione: Quando il Ricordo Diventa un Trofeo
Ma c’è anche un lato oscuro in questa compulsione a fotografare tutto. Ed è quello che io chiamo “l’ansia da prestazione mnemonica”. In una cultura ossessionata dalla documentazione e dalla condivisione, il ricordo rischia di trasformarsi in un trofeo da esibire, una prova tangibile del nostro valore e della nostra esperienza.
E così, invece di goderci il momento presente con tutti i sensi, ci ritroviamo a viverlo attraverso l’obiettivo, preoccupati più di catturare l’istante perfetto che di assaporarlo in tutta la sua pienezza. È un po’ come andare a un concerto e passare tutto il tempo a filmare col telefono, dimenticandoci di ballare e cantare a squarciagola.
Come Smettere di Essere Fotografi Compulsivi:
Impara a Vivere nell’Imperfezione
Immaginate un tramonto con colori spettacolari, ma con un gabbiano che attraversa il campo visivo proprio nel momento dello scatto. O un ritratto di famiglia in cui qualcuno sta sbattendo le palpebre o facendo una smorfia buffa. Sono momenti che spesso scartiamo come “fallimenti fotografici”, ma che in realtà racchiudono un’autenticità preziosa, non ritorneranno più, perchè la loro imperfezione e anche la loro unicità.
La vita, amici miei, non è un filtro Instagram. È un mosaico caotico e meraviglioso di attimi imperfetti, ognuno con la sua storia e la sua emozione. E quando impariamo ad apprezzare l’estetica dell’imperfezione, scopriamo una nuova dimensione di bellezza, più vera e toccante di qualsiasi immagine patinata.[
Riscopri il Piacere del Ricordo
Ma l’imperfezione non riguarda solo l’estetica della foto. Riguarda anche il modo in cui conserviamo e condividiamo i nostri ricordi. In un’epoca in cui affidiamo la nostra memoria alle gallerie digitali, rischiamo di dimenticare il potere del racconto.
Pensateci: quando eravate bambini, i ricordi più vividi non erano quelli immortalati in foto perfette, ma quelli che vi venivano raccontati dai vostri nonni o genitori. Storie di avventure, di risate, di emozioni condivise. Ricordi che prendevano vita attraverso le parole e i gesti, diventando parte del vostro immaginario affettivo.
E allora, amici miei, vi lancio una sfida: la prossima volta che vivrete un momento speciale, invece di scattare una foto, provate a raccontarlo a qualcuno. Con tutti i dettagli, le emozioni, le imperfezioni. O, se preferite, scrivete quel ricordo in un diario, con la stessa cura e passione con cui descrivereste una scena in un romanzo.
Scoprirete che i ricordi più preziosi non sono quelli imprigionati in uno scatto perfetto, ma quelli che vivono nelle storie che ci raccontiamo. Perché la memoria, in fondo, non è un archivio di immagini, ma un tessuto vivo di emozioni e significati.
Il Lato Oscuro dei Social Media: Quando la Documentazione Diventa Performance
I social media hanno trasformato la fotografia da strumento di memoria a strumento di performance. Ogni foto deve essere perfetta, ogni momento deve essere degno di essere condiviso. E così, invece di vivere le esperienze, passiamo il tempo a metterle in scena.
Ma c’è una buona notizia: possiamo scegliere di non partecipare a questo gioco. Possiamo decidere di vivere le nostre vite per noi stessi, non per i like.
Conclusione: Tornare a Guardare con gli Occhi, Non con la Fotocamera
Il Complesso del Fotografo è un fenomeno moderno, ma la soluzione è antica: vivere il momento. Non c’è bisogno di rinunciare completamente alla fotografia, ma è importante trovare un equilibrio.
Ricordate: la vita non è una galleria d’arte. Non deve essere perfetta. Deve essere vissuta.
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Per chi vuole approfondire….
Henkel, L. A. (2014). Point-and-shoot memories: The influence of taking photos on memory for a museum tour. Psychological science, 25(2), 396-402. https://doi.org/10.1177/0956797613504438
Tamir, D. I., Templeton, E. M., Ward, A. F., & Zaki, J. (2018). Media usage diminishes memory for experiences. Journal of Experimental Social Psychology, 76, 161-168. https://doi.org/10.1016/j.jesp.2018.01.006
Soares, J. S., & Storm, B. C. (2018). Forget in a flash: A further investigation of the photo-taking-impairment effect. Journal of Applied Research in Memory and Cognition, 7(1), 154-160. https://doi.org/10.1016/j.jarmac.2017.10.004
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