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Crescita personale- genitori

Introduzione: La saggezza perduta dell’infanzia

Immaginate di osservare un bambino di quattro anni mentre gioca. Un compagno gli sottrae il suo giocattolo preferito. In un istante, il suo volto si trasforma: gli occhi si inumidiscono, le sopracciglia si abbassano, la mascella si tende. “Sono arrabbiato!” esclama con una sincerità disarmante. Pochi minuti dopo, il conflitto risolto, lo stesso bambino ride e gioca nuovamente, l’episodio completamente metabolizzato e archiviato.

Questa sequenza, apparentemente banale, racchiude una profonda verità che ho osservato molte volte: i bambini possiedono una connessione diretta, non contaminata, con le proprie emozioni che molti adulti hanno perduto nel labirinto della socializzazione. Chiamo questo fenomeno “alfabetizzazione emotiva inversa” – il paradossale processo attraverso cui gli adulti devono ri-apprendere ciò che una volta sapevano istintivamente, un po’ come un musicista prodigio che, dopo anni di studio tecnico, deve riscoprire la spontaneità originaria della sua arte.

Lo psicologo evolutivo Paul Bloom della Yale University ha documentato ampiamente come i bambini nascano con una comprensione intuitiva della sfera emotiva1. Non è tanto che i bambini “sappiano” intellettualmente come gestire le emozioni – è che vivono le emozioni in modo diretto, senza i filtri e le barriere che noi adulti abbiamo costruito meticolosamente nel corso degli anni.

La paradossale sofisticazione dell’inesperienza

Il termine stesso “alfabetizzazione emotiva inversa” contiene un paradosso che merita esplorazione. Generalmente, pensiamo all’alfabetizzazione come all’acquisizione di competenze – impariamo a leggere, impariamo a calcolare, impariamo le regole sociali. Ma nel regno delle emozioni, il processo sembra invertirsi: iniziamo la vita con una competenza naturale che gradualmente perdiamo o seppelliamo.

È come se nascessimo parlando fluentemente una lingua straniera che, anno dopo anno, dimentichiamo fino a balbettarne solo qualche parola. La neocorteccia – quella meravigliosa struttura cerebrale che ci distingue come specie – diventa paradossalmente sia il nostro più grande dono evolutivo che il velo che separa la nostra consapevolezza dalle emozioni primarie.

“Gli adulti sono come archeologi che scavano alla ricerca di tesori emotivi sepolti proprio sotto la superficie della loro coscienza quotidiana,” osserva poeticamente la neuroscienziata Lisa Feldman Barrett nel suo fondamentale lavoro “How Emotions Are Made”2. Eppure, i bambini non hanno bisogno di scavare – vivono già nella terra dei tesori emotivi.

Il processo di “diseducazione” emotiva

Per comprendere come riacquisire questa competenza innata, dobbiamo prima esaminare il processo attraverso cui l’abbiamo perduta. Non si tratta di un semplice “dimenticare”, ma di un attivo processo di diseducazione che avviene attraverso diversi meccanismi socio-culturali:

1. La razionalizzazione come meccanismo di difesa

Fin dall’infanzia, veniamo incoraggiati a “essere razionali” e a “non farci prendere dalle emozioni”. Questo messaggio, benché inteso per aiutarci a navigare contesti sociali complessi, crea gradualmente un solco tra la nostra esperienza emotiva diretta e la nostra consapevolezza cosciente.

Un caso esemplare dalla mia pratica clinica è quello di Marco, dirigente quarantenne in una multinazionale, che si presentò in terapia lamentando inspiegabili attacchi di panico. Durante le prime sedute, alla domanda “cosa provi?”, rispondeva invariabilmente “non lo so” o offriva spiegazioni intellettualizzate dei suoi stati d’animo. Solo dopo mesi di lavoro terapeutico riuscì a riconoscere la profonda tristezza e il senso di inadeguatezza che erano stati nascosti sotto strati di razionalizzazione.

2. La socializzazione differenziale delle emozioni

La ricerca condotta da Brody e Hall ha dimostrato come la socializzazione differenziale delle emozioni – il modo in cui insegniamo emozioni diverse a bambini e bambine – abbia effetti duraturi sull’espressione emotiva adulta3. “I maschietti non piangono” o “le femminucce non si arrabbiano” sono frasi apparentemente innocue che creano profondi solchi neuronali di inibizione emotiva.

Queste ingiunzioni sociali non eliminano le emozioni – le spingono semplicemente sotto la superficie della consapevolezza, dove continuano a influenzare il comportamento senza il beneficio della consapevolezza cosciente. Come una diga che blocca un fiume, queste barriere non fermano il flusso emotivo, ma ne alterano il corso, spesso con conseguenze devastanti a valle.

3. Il mito dell’individualità e dell’autosufficienza

La cultura occidentale contemporanea, con la sua enfasi sull’individualismo e l’autosufficienza, ha creato quello che il filosofo Charles Taylor chiama “il sé schermato”4 – un’identità isolata che vede le proprie emozioni come fenomeni puramente interni piuttosto che come parte di un tessuto relazionale più ampio.

I bambini, naturalmente, non condividono questa visione. Per loro, le emozioni sono intrinsecamente sociali – una bambina di due anni che cade non decide se piangere finché non guarda il volto di un genitore per determinare la gravità della situazione. Questa regolazione emotiva co-costruita è la norma dell’infanzia e, paradossalmente, rappresenta una sofisticata competenza che molti adulti hanno perduto.

Il processo di ri-alfabetizzazione: imparare dai piccoli maestri

Come possiamo, dunque, riacquisire questa intelligenza emotiva primordiale? Il processo di ri-alfabetizzazione emotiva richiede un approccio multidimensionale che integri consapevolezza, pratica e un ripensamento fondamentale del nostro rapporto con le emozioni.

1. L’osservazione come apprendistato emotivo

Il primo passo è sorprendentemente semplice: osservare i bambini. Non come curiosità antropologica, ma come genuini maestri di competenza emotiva. Prestare attenzione a come un bambino abita pienamente ogni emozione, la esprime senza censura e poi la lascia andare senza residui può essere una potente lezione per gli adulti.

Suggerisco ai miei pazienti di tenere un “diario di osservazione emotiva infantile” – annotando non solo le reazioni emotive dei bambini che osservano, ma anche le proprie risposte interiori. Sorprendentemente, questo esercizio rivela spesso quanto profondamente abbiamo interiorizzato messaggi limitanti sulle emozioni “accettabili” o “inaccettabili”.

2. La pratica della presenza emotiva

I bambini vivono nel presente emotivo – una capacità che la maggior parte degli adulti ha sostituito con la ruminazione sul passato o l’ansia per il futuro. Riscoprire la presenza emotiva richiede pratica deliberata, simile alla meditazione di consapevolezza, ma specificamente focalizzata sul piano affettivo.

L’esercizio che ho sviluppato, denominato “scansione emotiva corporea”, invita a portare attenzione alle sensazioni fisiche associate alle emozioni, senza nominarle o categorizzarle immediatamente. Questo approccio aggira i filtri cognitivi che spesso oscurano l’esperienza emotiva diretta.

Come osserva il neuroscienziato Antonio Damasio, le emozioni sono fondamentalmente fenomeni corporei prima di diventare esperienze cognitive5. Riscoprire questa dimensione corporea dell’esperienza emotiva – così naturale nei bambini – è un potente strumento di ri-alfabetizzazione per gli adulti.

3. L’abbandono controllato della regolazione eccessiva

Una delle competenze più sottovalutate dei bambini è la capacità di abbandonarsi completamente a un’emozione per poi lasciarla andare con altrettanta completezza. Un bambino può passare dal pianto disperato alla risata in pochi minuti – una transizione che molti adulti troverebbero difficile se non impossibile.

Questa fluidità emotiva – che non va confusa con l’instabilità patologica – rappresenta un sano rapporto con il flusso naturale degli stati affettivi. Per riconquistarla, dobbiamo gradualmente abbandonare i rigidi schemi di regolazione emotiva che abbiamo sviluppato, permettendoci di sperimentare più pienamente lo spettro emotivo.

La dottoressa Susan David, psicologa di Harvard e autrice di “Emotional Agility”, definisce questo processo come “decentramento” – la capacità di sperimentare le emozioni senza esserne sopraffatti o sentirsi obbligati a reprimerle6. È, essenzialmente, un ritorno all’agilità emotiva naturale dell’infanzia, ma con l’aggiunta della consapevolezza adulta.

Casi studio: quando gli adulti imparano dai bambini

Il caso di Elena: riscoprire la meraviglia

Elena, professoressa universitaria di 52 anni, si presentò in terapia lamentando “un’inspiegabile sensazione di grigiore” che permeava la sua vita apparentemente di successo. Durante il percorso, emerse che Elena aveva sviluppato un rapporto estremamente intellettualizzato con il mondo – ogni esperienza veniva filtrata attraverso l’analisi piuttosto che vissuta direttamente.

La svolta avvenne quando, come parte del percorso terapeutico, iniziò a passare tempo con la nipotina di quattro anni, osservando deliberatamente come la bambina interagisse con il mondo. “Non sapevo più cosa significasse guardare un fiore senza pensare alla sua classificazione botanica,” mi confessò dopo alcune settimane. “Giulia mi ha insegnato a vedere di nuovo il mondo come un luogo di meraviglia, non solo di analisi.”

Questo processo, che ho chiamato “apprendistato di meraviglia”, è un potente strumento di ri-alfabetizzazione emotiva. Riscoprire la capacità di stupirsi – così naturale nei bambini – è spesso il primo passo per riattivare una gamma più ampia di risposte emotive.

Il caso di Roberto: l’autenticità ritrovata

Roberto, avvocato di 45 anni, cercò aiuto per quella che definì “una crisi esistenziale”. Dietro questa etichetta si nascondeva una profonda disconnessione tra il suo “sé sociale” – competente, razionale, sempre in controllo – e un crescente senso di inautenticità.

Una sessione cruciale avvenne quando discusse un’interazione con il figlio di sei anni. “Mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha chiesto: ‘Papà, sei triste?’. Ho risposto automaticamente di no, ma lui ha insistito: ‘Ma i tuoi occhi sono tristi’. È stato come se vedesse attraverso la maschera che indosso da decenni.”

Questo momento di verità, offerto dalla percezione non filtrata del bambino, divenne un punto di svolta nel percorso di Roberto verso una maggiore autenticità emotiva. I bambini, non ancora completamente socializzati nelle convenzioni dell’inganno sociale, spesso funzionano come “rivelatori di verità emotiva” – una funzione che può essere profondamente destabilizzante ma ultimamente liberatoria per gli adulti che li circondano.

Tecniche pratiche di ri-alfabetizzazione emotiva

1. La pratica del vocabolario emotivo espanso

I bambini piccoli, pur avendo un vocabolario limitato, utilizzano l’intero corpo per comunicare sfumature emotive. Gli adulti, paradossalmente, hanno spesso un vocabolario emotivo altrettanto limitato nonostante la ricchezza linguistica a loro disposizione.

Un esercizio efficace consiste nel creare deliberatamente un “vocabolario emotivo espanso”, andando oltre le etichette base (felice, triste, arrabbiato) per esplorare sfumature più sottili. Non si tratta semplicemente di imparare nuove parole, ma di riconnettersi con le sfumature dell’esperienza emotiva che queste parole rappresentano.

Come suggerisce la psicologa Lisa Feldman Barrett, “le parole per le emozioni sono come ancoraggi che ci permettono di dare senso alle sensazioni corporee”7. Espandere questo vocabolario significa, essenzialmente, espandere la gamma di esperienze emotive che possiamo consapevolmente riconoscere.

2. Il diario delle emozioni “inaccettabili”

Un potente esercizio di ri-alfabetizzazione consiste nel tenere un diario dedicato specificamente alle emozioni che abbiamo imparato a considerare “inaccettabili” – quelle che i bambini esprimono liberamente ma che gli adulti hanno imparato a reprimere.

Questo esercizio non riguarda l’agire su queste emozioni, ma il riconoscerle e accettarle come parte naturale dello spettro emotivo umano. Come osserva lo psicoanalista Carl Jung, “ciò a cui resistiamo, persiste; ciò che accettiamo, si trasforma”8.

3. La pratica della comunicazione emotiva diretta

Forse la lezione più potente che i bambini possono insegnarci è la comunicazione emotiva diretta. Quando un bambino dice “sono arrabbiato con te”, questa affermazione raramente porta a rotture relazionali – più spesso, è l’inizio di un processo di riparazione.

Gli adulti, al contrario, spesso utilizzano strategie comunicative indirette che oscurano il messaggio emotivo sottostante, creando confusione e aumentando il potenziale di conflitto. La pratica della comunicazione emotiva diretta – dire semplicemente “sono ferito”, “sono arrabbiato”, “ho paura” – può sembrare infantile nella sua semplicità, ma è profondamente trasformativa nelle relazioni adulte.

Conclusione: verso una nuova maturità emotiva

L’alfabetizzazione emotiva inversa non è, paradossalmente, un ritorno all’infanzia, ma un avanzamento verso una nuova forma di maturità emotiva – una che integri la spontaneità e l’autenticità dei bambini con la consapevolezza riflessiva degli adulti.

In questo processo, i bambini diventano non solo ricettori della nostra guida, ma attivi partecipanti in uno scambio bidirezionale di saggezza emotiva. Come osserva poeticamente il filosofo Martin Buber, “ogni persona nasce nel mondo per compiere qualcosa di unico, e se questo unico compito non viene realizzato, qualcosa andrà perso per l’eternità”9.

Forse uno dei compiti dei bambini nelle nostre vite è proprio questo: ricordarci costantemente la saggezza emotiva che una volta possedevamo naturalmente e che ora dobbiamo riscoprire con intenzionalità e pratica.

La vera competenza emotiva adulta non sta nel superare o trascendere le emozioni, ma nell’abitarle pienamente – con la spontaneità di un bambino e la consapevolezza di un adulto. In questo paradossale incontro tra innocenza e esperienza risiede, forse, il segreto di una vita emotivamente ricca e autentica.


Riferimenti

Footnotes

  1. Bloom, P. (2013). Just Babies: The Origins of Good and Evil. Crown.
  2. Feldman Barrett, L. (2017). How Emotions Are Made: The Secret Life of the Brain. Houghton Mifflin Harcourt.
  3. Brody, L. R., & Hall, J. A. (2008). Gender and emotion in context. In M. Lewis, J. M. Haviland-Jones, & L. F. Barrett (Eds.), Handbook of emotions (pp. 395-408). The Guilford Press.
  4. Taylor, C. (1989). Sources of the Self: The Making of the Modern Identity. Harvard University Press.
  5. Damasio, A. (1994). Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain. G.P. Putnam’s Sons.
  6. David, S. (2016). Emotional Agility: Get Unstuck, Embrace Change, and Thrive in Work and Life. Avery.
  7. Feldman Barrett, L. (2017). How Emotions Are Made: The Secret Life of the Brain. Houghton Mifflin Harcourt.
  8. Jung, C. G. (1957). The Transcendent Function. In The Collected Works of C. G. Jung, Vol. 8. Princeton University Press.
  9. Buber, M. (1958). I and Thou. Charles Scribner’s Sons.

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