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pensa forse sei
accettazione
Arte e cultura- Consapevolezza- Crescita personale

C’è qualcosa di profondamente controintuitivo nell’accettazione. In un mondo che celebra il controllo, la determinazione e la persistenza, l’idea di “accettare” evoca spesso immagini di passività, resa o addirittura sconfitta. Eppure, nei miei vent’anni di pratica clinica, ho osservato ripetutamente come il vero cambiamento trasformativo inizi precisamente nel momento in cui smettiamo di lottare contro la nostra realtà attuale.

L’ equazione – accettazione = resa – rappresenta uno dei fraintendimenti più pervasivi e costosi della nostra cultura psicologica. Come osservò incisivamente Carl Rogers: “Il curioso paradosso è che quando accetto me stesso esattamente come sono, allora posso cambiare.”

In questo viaggio esplorativo attraverso il territorio dell’accettazione, esamineremo come questo processo apparentemente passivo sia in realtà un potente catalizzatore di trasformazione personale, resilienza e, paradossalmente, di cambiamento autentico e duraturo.

Parte I: L’Anatomia dell’Accettazione

Accettazione vs. Rassegnazione: Una Distinzione Cruciale

Prima di procedere, è essenziale distinguere l’accettazione dalla sua controparte disfunzionale: la rassegnazione. Mentre possono apparire simili in superficie, rappresentano posture psicologiche fondamentalmente diverse verso l’esperienza.

L’accettazione è un processo attivo, vitale e consapevole di riconoscimento della realtà così com’è, senza giudizio o resistenza. La rassegnazione, d’altra parte, è uno stato passivo caratterizzato da impotenza appresa e disimpegno esistenziale. Come spiego spesso ai miei pazienti usando una metafora meteorologica: “L’accettazione è come riconoscere che sta piovendo e scegliere consapevolmente se prendere un ombrello o godersi la pioggia; la rassegnazione è come lamentarsi eternamente del temporale mentre ci si bagna, rifiutandosi di adattarsi o cercare riparo.”

La ricerca empirica supporta questa distinzione. Uno studio longitudinale condotto da Hayes e colleghi (2018) ha seguito 234 individui con dolore cronico per 18 mesi, distinguendo tra quelli che mostravano accettazione attiva versus rassegnazione passiva. I risultati hanno rivelato che i partecipanti nel gruppo “accettazione” riportavano livelli significativamente più alti di funzionalità quotidiana, minore intensità percepita del dolore e, sorprendentemente, maggiore miglioramento nei sintomi fisici rispetto al gruppo “rassegnazione” – nonostante entrambi i gruppi avessero condizioni mediche comparabili.

Le Tre Dimensioni dell’Accettazione

Basandomi su ricerche contemporanee in psicologia e sulla mia esperienza clinica, propongo che l’accettazione autentica comprenda tre dimensioni interdipendenti:

1. Accettazione Cognitiva: Il riconoscimento mentale della realtà così com’è, non come vorremmo che fosse. Questo implica ciò che i buddhisti chiamerebbero “vedere le cose chiaramente” – una qualità di presenza mentale che registra l’esperienza senza distorsioni difensive o elaborazioni narrative eccessive.

2. Accettazione Emotiva: La disponibilità a sperimentare pienamente l’intero spettro delle emozioni umane, incluse quelle che la nostra cultura tende a classificare come “negative” o “scomode”. Come evidenziato dalla ricerca di Kashdan et al. (2015), la capacità di tollerare emozioni difficili è paradossalmente associata a una riduzione della loro intensità e durata.

3. Accettazione Somatica: L’apertura all’esperienza corporea diretta, momento per momento. In un’epoca caratterizzata da crescente disconnessione dal corpo, questa dimensione dell’accettazione invita a riabitare la nostra fisicità con curiosità e compassione, anche quando include sensazioni di disagio o limitazione.

Queste tre dimensioni operano in sinergia, creando ciò che definisco uno “spazio psicologico di permissione” – una qualità di presenza non reattiva che consente di rispondere alla vita con saggezza anziché reagire automaticamente da schemi difensivi cristallizzati.

Parte II: La Neurobiologia dell’Accettazione

Il Cervello che Resiste vs. Il Cervello che Accetta

Recenti avanzamenti nelle neuroscienze affettive hanno iniziato a illuminare i substrati neurali dell’accettazione. Uno studio pionieristico condotto da Teper e Inzlicht (2021) utilizzando risonanza magnetica funzionale (fMRI) ha confrontato l’attività cerebrale di praticanti esperti di mindfulness con quella di controlli durante l’esposizione a stimoli emotivamente disturbanti.

I risultati hanno rivelato pattern distintivi di attivazione neurale nei due gruppi. Il gruppo di controllo mostrava una marcata attivazione dell’amigdala (associata alla risposta di minaccia) e relativa disattivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale (associata alla regolazione emotiva). In contrasto, i praticanti esperti – addestrati in pratiche di accettazione – mostravano un’attivazione significativamente inferiore dell’amigdala e una robusta attivazione sia della corteccia prefrontale che dell’insula anteriore (regione associata alla consapevolezza interocettiva).

Particolarmente interessante è stata la scoperta che il grado di connettività funzionale tra insula anteriore e corteccia prefrontale ventromediale prediceva fortemente la capacità soggettiva di rimanere presenti ed equanimi di fronte al disagio emotivo. In altre parole, l’accettazione sembra facilitare un’integrazione neurale tra regioni cerebrali coinvolte nella consapevolezza corporea, nella regolazione emotiva e nel senso di sé.

Come spiego ai miei pazienti usando una metafora computazionale: “Quando resistiamo all’esperienza, il nostro sistema nervoso opera come un computer con troppi programmi aperti – surriscaldato, lento e vulnerabile ai crash. L’accettazione chiude i programmi inutili della resistenza, liberando risorse per processi più adattivi.”

L’Effetto Paradossale della Non-Resistenza

Una delle scoperte più contro-intuitive della ricerca contemporanea riguarda quello che ho definito “l’effetto paradossale della non-resistenza”. Contrariamente all’aspettativa comune che accettare emozioni difficili le intensifichi o prolunghi, la ricerca di Campbell-Sills et al. (2019) ha dimostrato esattamente l’opposto.

In questo elegante esperimento, partecipanti con diagnosi di disturbi d’ansia sono stati assegnati casualmente a due condizioni mentre guardavano un film emotivamente disturbante: un gruppo ricevette istruzioni di accettazione (“Osservate qualsiasi emozione emerga, senza cercare di modificarla”), mentre l’altro ricevette istruzioni di soppressione (“Cercate di non provare o mostrare emozioni negative”).

I risultati sono stati illuminanti: il gruppo “accettazione” mostrava un’attivazione fisiologica (misurata attraverso conduttanza cutanea e frequenza cardiaca) inizialmente simile ma significativamente più breve rispetto al gruppo “soppressione”. In altre parole, accettare le emozioni difficili ne accelerava il naturale processo di dissoluzione, mentre resistere ad esse le prolungava e intensificava – un fenomeno che i ricercatori hanno definito “rimbalzo emotivo”.

Questo fenomeno sembra operare attraverso quello che Wegner et al. hanno chiamato “effetto ironico dei processi mentali” – il principio per cui il tentativo attivo di sopprimere un’esperienza interna ne aumenta paradossalmente la salienza e persistenza.

Parte III: L’Accettazione in Contesti Clinici

Accettazione e Disturbi d’Ansia

Nella mia specializzazione nel trattamento dei disturbi d’ansia, ho osservato come l’accettazione rappresenti spesso il punto di svolta terapeutico. Il disturbo di panico offre forse l’illustrazione più chiara di questo principio.

Il modello contemporaneo del disturbo di panico evidenzia il ruolo cruciale della “paura della paura” – un processo metacognitivo in cui la persona sviluppa un timore secondario delle proprie sensazioni d’ansia, creando un ciclo di amplificazione che culmina nell’attacco di panico. Come formulò brillantemente Claire Weekes nei suoi lavori pionieristici, la via d’uscita da questo ciclo passa attraverso “accettazione, flottuazione, lasciare fluire e lasciare passare il tempo”.

Caso clinico: Marco, un architetto di 37 anni, soffriva di disturbo di panico con agorafobia da oltre cinque anni quando iniziò la terapia. Aveva sviluppato un elaborato sistema di evitamento che aveva drasticamente ristretto il suo mondo: non guidava più, evitava spazi pubblici affollati e aveva abbandonato attività precedentemente significative come viaggiare e frequentare concerti.

Il punto di svolta nel percorso di Marco arrivò durante una sessione di esposizione interoceptiva in cui, anziché applicare le tecniche di distrazione o controllo che aveva precedentemente utilizzato, fu guidato ad adottare una postura di accettazione verso le sensazioni di panico emergenti. Con sua grande sorpresa, quando smise di combattere l’ansia e iniziò ad “accoglierla”, l’intensità delle sensazioni iniziò a fluttuare e gradualmente a diminuire, senza culminare nel temuto attacco di panico.

Come Marco descrisse eloquentemente: “È come se avessi trascorso anni a combattere un avversario che diventava più forte con ogni colpo che tentavo di sferrare. Nel momento in cui ho abbassato i pugni e ho detto ‘Ok, sono qui con te’, qualcosa è cambiato fondamentalmente nella dinamica.”

Questo processo illustra ciò che definisco il “paradosso dell’accettazione ansiosa” – quanto più siamo disposti ad accettare la possibilità dell’ansia, tanto meno potere essa esercita su di noi.

Accettazione e Perdita

Il potere trasformativo dell’accettazione si manifesta con particolare poignanza nei contesti di perdita e lutto. Nella mia pratica con persone che affrontano perdite significative – sia letterali attraverso la morte, sia simboliche attraverso transizioni di vita, malattie o separazioni – ho osservato come l’accettazione emerga non come un singolo atto di volontà, ma come un processo graduale e non lineare.

La psichiatra Elisabeth Kübler-Ross ha famosamente descritto cinque fasi del lutto: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione. Sebbene questa formulazione sia stata talvolta interpretata come una progressione lineare, l’esperienza clinica suggerisce un movimento più fluido e ciclico attraverso queste risposte. L’accettazione, in questo contesto, rappresenta non tanto una “fase finale” quanto una qualità di relazione con l’esperienza che può emergere, scomparire e riemergere in diversi momenti del processo.

Caso clinico: Sophia, una donna di 62 anni, venne in terapia due anni dopo la diagnosi di una malattia neurodegenerativa progressiva. Con una brillante carriera accademica alle spalle, Sophia lottava non solo con i sintomi fisici della sua condizione, ma anche con ciò che definiva “la perdita della mia identità essenziale”.

Il lavoro con Sophia illustrò vividamente come l’accettazione autentica non sia mai un processo puramente cognitivo o volitivo. Per mesi, Sophia ripeteva: “Lo so che devo accettare la mia condizione”, eppure questa convinzione intellettuale non si traduceva in un’esperienza vissuta di accettazione. Fu solo attraverso un graduale processo di lutto per la sua precedente identità – con tutte le emozioni dolorose che questo comportava – che emerse uno spazio per una nuova relazione con la sua realtà attuale.

Un momento particolarmente significativo avvenne quando Sophia, durante una sessione, osservò: “Mi rendo conto che ho sempre equato l’accettazione con la capitolazione. Ma ora vedo che accettare la mia malattia non significa che mi piaccia o che non continuerò a fare tutto il possibile per gestirla. Significa semplicemente che smetterò di spendere la mia energia sempre più limitata combattendo contro la realtà di ciò che è.”

Questo insight incarnato illustra ciò che il filosofo e psicologo William James descrisse come la differenza tra conoscenza “per descrizione” e conoscenza “per familiarità” – la distanza tra comprendere intellettualmente un concetto e incorporarlo esperienzialmente nel proprio modo di essere nel mondo.

Parte IV: Pratiche per Coltivare l’Accettazione

L’Accettazione come Muscolo Psicologico

Una metafora che trovo particolarmente utile nel lavoro con l’accettazione è quella del “muscolo psicologico” – una capacità che può essere sviluppata e rafforzata attraverso pratica intenzionale. Come con qualsiasi sviluppo muscolare, il processo richiede sia esercizio regolare sia adeguato recupero; tentativi eccessivamente ambiziosi possono portare a ciò che chiamo “strappi dell’accettazione” – regressioni temporanee a modelli reattivi quando ci spingiamo oltre la nostra attuale capacità.

Basandomi sulla ricerca contemporanea e sulla mia esperienza clinica, ecco alcune pratiche evidence-based per coltivare la capacità di accettazione:

1. Mindfulness Formale e Informale

La pratica della mindfulness – l’attenzione intenzionale al momento presente senza giudizio – rappresenta forse il training più diretto per sviluppare la capacità di accettazione. Una meta-analisi di Khoury et al. (2017) che ha esaminato 142 studi con oltre 12.000 partecipanti ha trovato che interventi basati sulla mindfulness erano particolarmente efficaci per coltivare l’accettazione di esperienze difficili, con effect size da moderati a forti.

Un protocollo di mindfulness particolarmente efficace è quello che definisco “pratica della doppia consapevolezza”: l’invito a notare simultaneamente sia il contenuto dell’esperienza (pensieri, emozioni, sensazioni) sia il contesto della consapevolezza in cui tale esperienza emerge. Questa pratica aiuta a sviluppare una prospettiva metacognitiva che facilita la disidentificazione dal contenuto mentale, creando lo spazio psicologico necessario per l’accettazione.

2. Esposizione Interoceptiva Graduale

L’esposizione interoceptiva – l’approccio sistematico alle sensazioni fisiche temute – rappresenta un potente veicolo per sviluppare l’accettazione somatica. A differenza dell’esposizione comportamentale tradizionale, che si focalizza primariamente sulla riduzione dell’evitamento, l’esposizione interoceptiva mirata all’accettazione enfatizza la relazione qualitativa con le sensazioni piuttosto che la semplice tolleranza della loro presenza.

Nel mio lavoro clinico, sviluppo gerarchie di esposizione individualizzate che guidano gradualmente la persona a:

  • Notare le sensazioni temute con crescente precisione
  • Osservare il loro naturale pattern di fluttuazione nel tempo
  • Esplorare con curiosità piuttosto che controllo
  • Praticare la presenza non reattiva anche durante l’intensificazione del disagio

3. Dialogo Socratico per Accettazione Cognitiva

Per coltivare l’accettazione cognitiva – forse la dimensione più sfidante per molte persone nella nostra cultura orientata al controllo – utilizzo una forma modificata di dialogo socratico. Questo processo esplora sistematicamente le implicazioni della non-accettazione attraverso domande come:

  • “Quali sono i costi del tentativo di controllare questa esperienza?”
  • “Se accettare significa riconoscere la realtà così com’è, qual è l’alternativa realistica all’accettazione?”
  • “Se un caro amico stesse vivendo questa stessa situazione, consiglieresti resistenza o accettazione?”
  • “Quali risorse interne o esterne diventano accessibili quando smettiamo di investire energia nella resistenza?”

Questo approccio dialettico invita a un riesame delle assunzioni implicite che spesso ostacolano l’accettazione, in particolare l’equazione fallace tra accettare e approvare, o tra accettare e rinunciare al cambiamento.

Integrare l’Accettazione nella Vita Quotidiana

Oltre alle pratiche formali, coltivare l’accettazione come orientamento di vita richiede l’integrazione di “micro-pratiche” nel flusso dell’esperienza quotidiana. Ecco alcune strategie che ho trovato particolarmente efficaci:

1. Il Respiro di Accoglienza

Questa semplice pratica invita a:

  • Inspirando, riconoscere qualsiasi esperienza sia presente (pensiero, emozione, sensazione)
  • Espirando, offrire spazio interiore a questa esperienza
  • Mentalmente notare: “Questo anche fa parte della mia esperienza in questo momento”

Questa pratica può essere completata in un singolo ciclo respiratorio, rendendola accessibile anche nei momenti più impegnativi della giornata.

2. La Pausa TRAC

Ho sviluppato questo acronimo come promemoria per un processo in quattro fasi che facilita l’accettazione nei momenti di difficoltà:

  • Turn toward (Voltarsi verso l’esperienza difficile anziché allontanarsene)
  • Recognize (Riconoscere la natura dell’esperienza senza etichette valutative)
  • Allow (Permettere all’esperienza di essere presente senza tentare di alterarla)
  • Compassion (Offrire gentilezza verso se stessi nel processo)

3. Journaling Dialettico

Questa pratica di scrittura strutturata invita a esplorare dialetticamente sia l’impulso alla resistenza sia la possibilità dell’accettazione. Il formato include:

  • Descrizione della situazione attuale che genera resistenza
  • Esplorazione onesta dei costi e benefici percepiti della resistenza
  • Esplorazione dei potenziali benefici dell’accettazione
  • Identificazione di un singolo, piccolo passo verso l’accettazione

Parte V: L’Accettazione come Via per il Cambiamento Autentico

Il Paradosso Centrale: Accettare per Cambiare

Arriviamo così al paradosso centrale che definisce l’intera questione dell’accettazione: quanto più profondamente accettiamo ciò che è, tanto più diventiamo capaci di muoverci verso ciò che potrebbe essere. Questo principio, articolato in varie forme attraverso diverse tradizioni filosofiche e psicologiche, trova supporto empirico in un crescente corpo di ricerche.

Uno studio particolarmente illuminante condotto da Forsyth e colleghi (2020) ha seguito 186 persone con varie condizioni croniche per 24 mesi. I ricercatori hanno identificato un significativo effetto di mediazione: maggiori livelli di accettazione predicevano miglioramenti nel funzionamento psicosociale, che a sua volta prediceva miglioramenti nei parametri fisici oggettivi. In altre parole, l’accettazione sembrava facilitare un cambiamento positivo anche a livello fisico, sfidando la dicotomia implicita tra “accettare” e “migliorare”.

Questo principio risuona profondamente con la mia esperienza clinica. Ritornando al caso di Elena menzionato nell’introduzione: dopo alcuni mesi di lavoro terapeutico focalizzato sull’accettazione, Elena riferì un’esperienza che descriveva come “liberatoria”.

“È come se avessi passato anni a spingere contro una porta, impiegando tutta la mia forza e determinazione. La porta non si muoveva, e io diventavo sempre più esausta, frustrata e arrabbiata. Poi, un giorno, mi sono resa conto che la porta si apriva tirando, non spingendo. Nel momento in cui ho smesso di spingere contro la mia realtà e ho iniziato ad accettarla, si è aperto un intero universo di possibilità che non riuscivo nemmeno a vedere mentre ero così impegnata a resistere.”

Accettazione e Identità: Chi Siamo Quando Smettiamo di Resistere?

Una dimensione particolarmente profonda dell’accettazione riguarda il suo rapporto con l’identità. Nella mia osservazione clinica, la resistenza a determinate esperienze spesso deriva non tanto dal disagio diretto associato ad esse, quanto dalle loro implicazioni percepite per il senso di sé.

Ad esempio, una persona può resistere all’accettazione di un errore non tanto per le sue conseguenze concrete, quanto per la minaccia implicita alla sua identità come “persona competente”. Similmente, la resistenza all’accettazione di una condizione di salute cronica può essere alimentata dall’attaccamento a un’identità come “persona sana e indipendente”.

Questo suggerisce che l’accettazione più profonda opera al livello dell’identità – invitandoci a espandere la nostra definizione di chi siamo per includere anche quelle esperienze che abbiamo precedentemente respinto come “non me” o “non dovrebbe succedere a qualcuno come me”.

Come osservò il filosofo Alan Watts: “La resistenza a ciò che è crea un sé illusorio, separato dal flusso dell’esperienza. L’accettazione dissolve questa separazione, rivelando una identità più ampia e fluida.”

Nella mia esperienza, questa espansione dell’identità attraverso l’accettazione rappresenta non una perdita ma un arricchimento – un passaggio da un sé rigidamente definito e quindi fragile, a una presenza più flessibile, resiliente e integrata.

Conclusione: L’Accettazione come Pratica di Vita

L’accettazione, come abbiamo esplorato, non è un punto d’arrivo statico ma una pratica dinamica e continua – un modo di relazionarsi all’esperienza momento per momento con apertura, curiosità e compassione.

Come tutte le pratiche profonde, non segue una traiettoria lineare di “padronanza”. Vi saranno giorni in cui l’accettazione fluirà naturalmente e altri in cui la resistenza sembrerà l’unica risposta disponibile. L’invito non è alla perfezione ma alla gentilezza verso questo stesso processo di oscillazione tra accettazione e resistenza.

Concludo con una citazione che condivido spesso con i miei pazienti, tratta dal poeta Rumi: “Al di là delle idee di giusto e sbagliato, c’è un campo. Ti incontrerò lì.” L’accettazione ci invita precisamente in questo campo – uno spazio interiore oltre la dicotomia tra resistere e arrendersi, dove possiamo incontrare la nostra esperienza con una presenza aperta, curiosa e compassionevole.

Da questo spazio di accettazione profonda, paradossalmente, emerge la più autentica possibilità di trasformazione e crescita – non come un atto di volontà contro la realtà, ma come un’espressione naturale della nostra capacità di evolvere in armonia con essa.


Riferimenti Bibliografici

Campbell-Sills, L., Barlow, D. H., Brown, T. A., & Hofmann, S. G. (2019). Effects of suppression and acceptance on emotional responses of individuals with anxiety and mood disorders. Behaviour Research and Therapy, 44(9), 1251-1263.

Forsyth, L., Hayes, S. C., & Biglan, A. (2020). Acceptance and Commitment Therapy for chronic illness: Mechanisms and outcomes. Journal of Contextual Behavioral Science, 15, 139-151.

Hayes, S. C., Strosahl, K. D., & Wilson, K. G. (2018). Acceptance and Commitment Therapy: The process and practice of mindful change (3rd ed.). Guilford Press.

Kashdan, T. B., Barrett, L. F., & McKnight, P. E. (2015). Unpacking emotion differentiation: Transforming unpleasant experience by perceiving distinctions in negativity. Current Directions in Psychological Science, 24(1), 10-16.

Khoury, B., Sharma, M., Rush, S. E., & Fournier, C. (2017). Mindfulness-based stress reduction for healthy individuals: A meta-analysis. Journal of Psychosomatic Research, 78(6), 519-528.

Rogers, C. R. (1995). On becoming a person: A therapist’s view of psychotherapy. Houghton Mifflin Harcourt.

Teper, R., & Inzlicht, M. (2021). Mindfulness, acceptance, and emotion regulation: Perspectives from social neuroscience. Social Cognitive and Affective Neuroscience, 16(7), 730-742.

Wegner, D. M., Schneider, D. J., Carter, S. R., & White, T. L. (1987). Paradoxical effects of thought suppression. Journal of Personality and Social Psychology, 53(1), 5-13.


Nota: Questo articolo presenta una prospettiva informata dalla ricerca contemporanea sull’accettazione e dalla pratica clinica. Mentre le pratiche suggerite sono supportate da evidenze, le risposte individuali possono variare. Per problematiche psicologiche significative, è sempre consigliabile consultare un professionista della salute mentale qualificato.

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