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pensa forse sei
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Consapevolezza

Vi è mai capitato di trovarvi davanti allo specchio del vostro smartphone, intenti a cercare l’angolazione perfetta, l’espressione ideale, la luce migliore, come se steste componendo l’opera d’arte definitiva del vostro volto? Benvenuti nel meraviglioso (e talvolta ansioso) mondo del selfie!

Il selfie come specchio dell’anima moderna

Sapete, ogni giorno nel mondo vengono scattati circa 93 milioni di selfie. È come se l’intera popolazione italiana decidesse di fotografarsi due volte al giorno! Ma dietro questi numeri vertiginosi si nasconde un fenomeno psicologico affascinante: il selfie è diventato il nostro moderno specchio di Narciso, solo che invece di riflettere la nostra immagine nell’acqua, la riflettiamo in un mare di pixel e filtri.

La trappola della perfezione digitale

Mi capita spesso di sentire in studio frasi come: “Dottore, ho impiegato 45 minuti per fare un selfie decente!” E sapete cosa rispondo? Che il tempo medio per scattare un selfie “soddisfacente” è di 8 tentativi. Non siete soli in questa ricerca della perfezione! Ma attenzione: questa rincorsa all’immagine ideale può trasformarsi in una forma sottile di auto-sabotaggio emotivo.

Il paradosso che ci abita

Immaginate questa scena: siete in un caffè e vedete qualcuno fare un selfie. Quale è la vostra reazione istintiva? Un sottile giudizio, forse? Un leggero alzare di sopracciglia? Eppure, non più tardi di ieri, probabilmente avete immortalato il vostro momento perfetto davanti allo specchio del bagno.

La ricerca di Sarah Diefenbach ha illuminato questo affascinante paradosso: il 90% degli intervistati percepisce i selfie degli altri come auto-promozionali e narcisistici, mentre considera i propri come ironici e auto-ironici. È come se avessimo due metri di giudizio: uno severo per gli altri e uno comprensivo per noi stessi!

La dinamica psicologica sottostante

Quello che osservo quotidianamente nel mio studio è un fenomeno che chiamo “il doppio specchio sociale”:

Lo specchio esterno: il giudice interiore in azione

Immaginate di essere in un ristorante. Al tavolo accanto, una persona si alza in continuazione per fare selfie con il suo piatto di pasta. Il nostro giudice interiore si attiva immediatamente:

  • “Che bisogno c’è di fotografare tutto?”
  • “Non sa più godersi un pasto in pace?”
  • “Cerca solo attenzione sui social”
  • “Sta rovinando l’atmosfera del locale”

È come se indossassimo degli occhiali speciali che filtrano solo gli aspetti negativi del comportamento altrui. Il nostro giudice interiore è particolarmente severo con:

  • La frequenza degli scatti (“Ancora un altro?”)
  • Le pose (“Che artificialità!”)
  • Le location scelte (“Proprio qui deve farlo?”)
  • L’apparente ricerca di validazione (“Non ha altro modo per sentirsi importante?”)

Lo specchio interno: il narratore benevolo prende la parola

Ora, cambiamo scena. Siamo noi davanti a quel piatto di pasta perfettamente impiattato. Il nostro narratore benevolo entra in azione con una serie di giustificazioni sofisticate:

  • “È un momento speciale che vale la pena immortalare”
  • “Sto documentando un’esperienza culinaria unica”
  • “I miei amici mi chiedono sempre consigli sui ristoranti”
  • “Lo faccio in modo discreto, non do fastidio a nessuno”
  • “È un ricordo per il mio diario gastronomico personale”
  • “Non sono come quelli che fotografano ogni cosa, io seleziono solo i momenti davvero significativi”

La danza degli specchi

Quello che rende questa dinamica particolarmente interessante è come i due specchi – esterno e interno – non si incontrino mai veramente. È come se operassero in dimensioni parallele:

  • Lo specchio esterno cerca prove per confermare i nostri pregiudizi
  • Lo specchio interno costruisce narrative per proteggere la nostra autostima

Un esercizio di consapevolezza

La prossima volta che vi sorprendete a giudicare qualcuno che fa un selfie, provate questo esperimento mentale: immaginate di essere voi al suo posto e costruite attivamente una narrazione benevola per il suo comportamento. È un esercizio che in studio chiamo “lo scambio degli specchi” e può rivelare molto sulla nostra tendenza al doppio standard.

La danza delle difese psichiche nascoste

Quando critichiamo i selfie altrui, attiviamo tre livelli di protezione psicologica, come strati di una cipolla emotiva:

  1. La protezione dell’autostima È come quando da bambini criticavamo il disegno del compagno per sentirci più sicuri del nostro. Criticando i selfie altrui, costruiamo una barriera protettiva attorno alla nostra fragilità. “Loro sono superficiali, io sono autentico/a” diventa il mantra che sussurriamo al nostro ego.
  2. Il distanziamento preventivo Questo è particolarmente interessante! È come quando indossiamo un capo d’abbigliamento stravagante ma diciamo subito “lo so che è un po’ troppo” – ci proteggiamo anticipando il giudizio altrui. Criticando i selfie degli altri, ci distanziamo preventivamente da un comportamento che, in realtà, anche noi mettiamo in atto. È come dire “Sì, faccio selfie, ma non sono come loro!”
  3. La superiorità morale come scudo Questo è il livello più sottile e sofisticato. Costruiamo una narrazione di superiorità morale che funziona come una corazza identitaria. “Io uso i social in modo consapevole” diventa la nostra giustificazione preferita, anche se poi passiamo venti minuti a scegliere il filtro perfetto.

Un esempio dalla vita reale

Durante una sessione di terapia, una paziente mi ha raccontato di aver criticato aspramente un’amica per i suoi continui selfie in palestra. Nella stessa seduta, scorrendo la sua galleria, ha realizzato di avere decine di foto simili. La differenza? Le sue erano “per documentare i progressi”, quelle dell’amica erano “per ostentare”.

L’esperimento del ribaltamento

Vi propongo un esercizio che uso spesso in terapia: per una settimana, ogni volta che state per criticare il selfie di qualcuno, fermatevi e scrivete tre possibili motivazioni positive per quel comportamento. È sorprendente come questo semplice esercizio possa svelare i nostri pregiudizi e le nostre insicurezze.

Una prospettiva più autentica

Questi meccanismi di difesa non sono “sbagliati” – sono strategie che abbiamo sviluppato per navigare un mondo sociale sempre più complesso. La chiave non è eliminarli, ma diventarne consapevoli. Come dico sempre ai miei pazienti: “Non è il selfie che scattiamo a definirci, ma la storia che ci raccontiamo su di esso.”

Note dalla trincea

Ho sviluppato un esercizio che chiamo “l’esperimento del doppio ruolo”: chiedo ai clienti di scrivere due diari paralleli per una settimana:

  • Uno dove annotano i pensieri sui selfie altrui
  • Uno dove riflettono sulle motivazioni dei propri

I risultati? Illuminanti! La consapevolezza della discrepanza genera spesso risate liberatorie e momenti di profonda comprensione.

Un invito alla riflessione

La prossima volta che vi sorprendete a giudicare il selfie di qualcun altro, fermatevi un attimo. Respirate. E chiedetevi: “Cosa mi sta dicendo questa reazione di me stesso?”

P.S. Se vi state chiedendo se condividere questo articolo con un amico “selfie-dipendente”, fatelo! Ma prima, controllate la vostra galleria fotografica… 😉

P.S.S. Ricordate: dietro ogni filtro Instagram c’è una persona che cerca conferme. La vera rivoluzione sta nel diventare il proprio filtro preferito, imperfezioni comprese.

Post Scriptum clinico Se vi trovate a cancellare più di 10 selfie consecutivi, forse è il momento di fare una pausa e chiedervi: “Cosa sto veramente cercando in questa immagine?”

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Note bibliografiche:
L’articolo principale che ha ispirato la nostra riflessione è: Diefenbach, S., & Christoforakos, L. (2017). “The Selfie Paradox: Nobody Seems to Like Them Yet Everyone Has Reasons to Take Them”. Frontiers in Psychology, 8, 7. 👉 Disponibile qui: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2017.00007/full

Questo studio affascinante ha coinvolto 238 partecipanti ed è stato condotto in Germania. È particolarmente interessante notare come il 77% dei partecipanti abbia dichiarato di preferire vedere “normali” fotografie piuttosto che selfie nei social media degli altri, mentre continuavano regolarmente a postare i propri selfie!

Per quanto riguarda gli aspetti dell’immagine corporea e l’editing delle foto: McLean, S. A., et al. (2015). “Photoshopping the selfie: Self photo editing and photo investment are associated with body dissatisfaction in adolescent girls.” International Journal of Eating Disorders, 48(8), 1132-1140. 👉 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26311205/

Alcuni dati numerici citati nell’articolo provengono da:

https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2020/02/09/ossessione-selfie-93mln-di-scatti-al-giorno_46b54ede-195b-451d-aac6-4e2959cc2c1c.html

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